Le cicatrici, visibili o non, fanno parte di noi, del nostro vissuto, del nostro bottino di guerra: gli ostacoli che la vita ci pone davanti non devono assolutamente essere sinonimo di vergogna o pregiudizio. Cerchiamo di non dimenticare che l’educazione è uno degli strumenti più potenti al mondo ed è totalmente necessario educare al rispetto e alla comprensione, per tutti noi e per le future generazioni che possono essere toccate da questa infinita battaglia.
Chiara DeMarchi è una fotografa di bambini e di maternità, ed è anche la fondatrice di Invisible Body Disabilities, un importante progetto che si pone come riferimento a livello mondiale per tutte le persone affette, appunto, da invalidità invisibili, patologie croniche intestinali come il Morbo di Crohn e la colite ulcerosa.
Le fotografie di Chiara, raccolte nel libro Women Fighters, raccontano – letteralmente senza filtri – le storie di donne che hanno imparato ad accettare un corpo che sembra “fuori controllo”, a combattere i pregiudizi, l’ignoranza e la vergogna. Per saperne di più e lasciarvi ispirare da queste ragazze forti e coraggiose, dovete solo andare avanti a leggere.
Queste sono la mia pancia e la manina di mio figlio. Nulla di strano. Ma cosa si nasconde dentro? Sangue, muco, crampi, dolore infinito. Ricoveri, visite, analisi, prelievi. Bagno, medicinali, effetti collaterali, perdita di peso. Abbandonare gli studi, abbandonare il lavoro, soffrire in silenzio. Abbandonare gli amici. Isolamento. Depressione. Una non vita. (…) Non sono la sola guerriera ad affrontare questa battaglia senza fine. Siamo davvero tanti, ma invisibili.
Far conoscere queste disabilità invisibili ha una grande importanza per connettere tutte le persone che ne soffrono, dando loro una voce, e Chiara ha fatto dell’ascolto e del racconto delle loro vite una missione. Nel suo libro, infatti, non ci sono solo gli scatti che aiutano queste donne ad accettare il proprio corpo – nonostante le cicatrici visibili e quelle invisibili – ma anche i racconti delle loro esperienze.
Il messaggio è chiaro: basta nascondersi, basta vergognarsi di sé stessi, coprendo le proprie cicatrici e soffrendo in silenzio. È necessario invece iniziare ad amarsi e ad avere fiducia nel proprio corpo.TC: Chiara, su Facebook racconti che il tuo progetto è iniziato a due anni dalla nascita del tuo primo bambino. Qual è stata la molla che ha fatto scattare in te il desiderio di uscire allo scoperto, per aiutare persone nella tua stessa situazione?
CD: Il progetto Invisible Body Disabilities nasce da dentro, dal voler esternare e sublimare il mio dolore, parlare della mia malattia, la rettocolite ulcerosa, che ha privato la mia vita di diversi sogni e progetti, attraverso la mia più grande passione e lavoro, la fotografia. Ho voluto dar vita a questo progetto fotografico anche per sentirmi meno sola e più forte, per creare una connessione di vite e diffondere speranza e coraggio, usare la bellezza dell’arte come mezzo di comunicazione immediato, affinché si parli sempre di più di disabilità invisibili come le malattie infiammatorie croniche intestinali ed altre.
Il motore della mia creatività é mio figlio, nato circa tre anni fa, che mi ha dato la spinta per una rinascita, per cercare di stare meglio e far sì che anche altre persone come me possano vedersi in maniera diversa, che possano trasformare la malattia in una rampa di lancio. L’idea poi di creare un libro fotografico, Women Fighters, che raccogliesse tutte le foto scattate nel mio home studio e accompagnate dalle testimonianze di queste sessantacinque guerriere della luce. Loro mi hanno dato tantissimo, ed io allo stesso modo, aiutandole a guardarsi con occhi diversi e ad affrontare la malattia con più positività, non sentendosi più sole. TC: Come hai scoperto della tua malattia e quali sono le cure che hai affrontato?
CD: La prima volta che ho avvertito qualcosa di diverso é stato nel 2006, ancora frequentavo le scuole superiori. Pensavo che quel sangue nelle feci fosse solo un messaggio del mio intestino, forse stavo mangiando troppe “schifezze”. Alla fine del 2008 mi recai più volte in pronto soccorso, ma la diagnosi era sempre la solita: crisi emorroidaria. Ad aprile 2009 arriva la diagnosi: Rettocolite Ulcerosa. In quel periodo non avevo la minima idea di cosa fosse una malattia infiammatoria cronica intestinale, l’ho imparato strada facendo.
Dalla diagnosi di rettocolite ulcerosa la mia vita è stata completamente stravolta, e nulla è stato più facile. A causa della malattia ho dovuto rinunciare a moltissimi sogni, ho dovuto licenziarmi per paura di perdere il posto a causa delle continue assenze, ho dovuto lasciare l’università perché era difficile seguire le lezioni e continuavo a stare male, ho dovuto limitare le uscite, lasciare diverse amicizie, ‘costringere’ il mio (ora) marito a farmi compagnia a casa il sabato sera e saltare tutti gli inviti per una pizza o un aperitivo.
HO DOVUTO LASCIARE GLI STUDI, IL LAVORO, ABBANDONARE MOLTE AMICIZIE
Insomma non è stato facile, sia a livello fisico sia psicologico. La malattia mi ha messo a dura prova: crampi addominali da far mancare il fiato, spesso non riuscivo nemmeno ad arrivare in bagno. Ricordo le milioni di volte che mia mamma mi trascinava fino alla porta del bagno. Poi diarrea, sangue e muco dalle ulcere nel colon e retto, continuo ed implacabile tenesmo. Non potendo mangiare quasi niente dimagrivo a vista d’occhio e allo specchio vedevo un esserino scheletrico, dall’aspetto orribile, senza un briciolo di energia e forza. Per me era una non-vita.
Nell’anno in cui mi hanno diagnosticato la malattia ho iniziato una cura a base di clismi e compresse di mesalazina, senza beneficio. Dopo qualche mese ho scoperto di essere intollerante alla mesalazina. Nel frattempo cercavo di scalare il dosaggio del cortisone, ma ogni volta la malattia tornava alla carica e ricominciavano le scariche di muco e sangue accompagnate da crampi addominali dolorosissimi. Sono andata avanti per quattro anni in questo modo, come uno yo-yo mi gonfiavo e mi sgonfiavo, mi gonfiavo e mi sgonfiavo di nuovo. Senza contare le manifestazioni extra-intestinali, i dolori a polsi, ginocchia e fondo schiena e tutta la serie di effetti collaterali causati dal cortisone (irritabilità, euforia mista a depressione, viso che si gonfiava a dismisura, pelle che si rovinava, perdita di capelli, ecc).
Dopo esser diventata una frequentatrice assidua del pronto soccorso, al mio primo ricovero mi è stato prescritto un farmaco immunosoppressore e da quel momento la qualità della mia vita cambiò nettamente. Cominciò anche il mio lento percorso interiore di accettazione della malattia. In questa tregua sono riuscita ad avere una gravidanza fisiologica con parto naturale e ho allattato per ben 31 mesi.
EPPURE CONTINUO A LOTTARE, TRA UNA RICADUTA E L’ALTRA
L’immunosoppressore non mi ha mai provocato alcun effetto collaterale, a parte l’abbassamento delle difese immunitarie, che mi ha fatto rischiare una setticemia poco più di un anno fa e che mi ha portato all’interruzione del farmaco stesso. Da quel momento ho avuto diverse ricadute che sono riuscita ad arginare nel giro di qualche giorno. Eppure continuo a lottare, tra una ricaduta ed un’altra, con la speranza di una remissione durativa.