CRISI FAST FASHION: SIAMO ALLA FINE DI UN’ERA? COSA STA SUCCEDENDO AD H&M?
- Sembrava uno scenario lontano e impossibile, ma la crisi del fast fashion è molto più vicina di quanto si creda.
- E il caso H&M sta ponendo le basi per un crollo importante nel mondo della moda low cost.
- Il fatto che alcuni marchi, specializzati nella realizzazione di capi di abbigliamento, accessori e prodotti di tendenza a prezzi bassi, non stiano affrontando un buon periodo, risuona come un campanellino d’allarme.
- Spendere poco e vestirsi bene forse non convince più gli utenti.
- O forse c’è troppa competizione.
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Cosa è davvero successo? Ci sono diversi fattori da analizzare, ma sicuramente la difficoltà a posizionarsi sul mercato, di fare breccia tra gli utenti e perdere la propria reputazione per alcuni errori non aiutano i brand low cost (e non).
Analizziamo quindi cosa è successo a H&M, come se la cavano gli altri colossi della moda a basso costo e se ci troviamo davvero dinanzi a una crisi del fast fashion. Via col post!
COS’È LA FAST FASHION?
Cos’è la fast fashion? Questa è la prima domanda che bisogna porsi per capire bene cosa sta accadendo oggi a diversi marchi, che vendono prodotti cool a prezzi molto bassi, rispetto ai grandi brand.
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Il fast fashion è un tipo di business che offre all’utente finale un prodotto di super tendenza a un costo basso. Capi di abbigliamento e accessori economici, facili da reperire, alla portata di tutti, prodotti in un flusso continuo e costante di pezzi sul mercato.
Le catene di fast fashion hanno negozi pieni di prodotti, continuamente. Non si esauriscono mai con il finire della stagione e con l’arrivo dei saldi, che equivalgono a un “fuori tutto”, ma sono sempre zeppi di cose trendy e desiderabili, ma anche basic, pensate per tutta la famiglia e per le varie occasioni d’uso.
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Negli anni ’90 il modello di fast fashion ha iniziato a farsi strada raggiungendo vette inaspettate. Il successo è stato così elevato che la produzione di abbigliamento è aumentata vertiginosamente. Come riporta IlPost in un approfondimento sul fast fashion: “secondo uno studio della Fondazione Ellen MacArthur, che si occupa di analisi di economia circolare, la produzione di vestiti è raddoppiata tra il 2000 e il 2015. Contemporaneamente è diminuito del 36 per cento il numero di volte in cui un capo è stato indossato prima di essere buttato via, magari finendo per essere gettato in una grande discarica in un paese in via di sviluppo”.
Già questo fa capire che c’è qualcosa che non va. Si aggiungano poi le condizioni a cui sono sottoposte gli operai che lavorano nelle fabbriche di indumenti e tessuti e il costo bassissimo della loro manodopera, e si capisce perché prima o poi questo sistema fosse destinato a fallire.
CRISI DELLA FAST FASHION: È REALE?
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La pandemia ha lasciato grandi segni nel mondo dell’economia globale e alcuni hanno sofferto più di altri. Tra questi proprio i brand fast fashion.
i clienti sono attenti alla sostenibilità e all’impatto ambientale
È successo che gli utenti, obbligati a stare a casa, stare in smart working e perennemente con capi di abbigliamento comodi – da qui il successo del cozywear – abbiano iniziato a preferire la qualità alla quantità. Strizzando l’occhio alla vera sostenibilità.
Meglio un buon maglione che duri nel tempo che cinque dai filati di scarsa qualità. Inoltre conoscere la produzione, il marchio Made in Italy, l’esclusività del pezzo hanno reso molti acquirenti più consapevoli e attenti. Così tanto da limitare o evitare i propri acquisti nelle catene di fast fashion.
Poi ci sono stati alcuni scandali, come scoprire che i vestiti usati destinati al riciclo finiscono invece in discariche, mai avviati a un ciclo di second life.
Sommando tutti questi fattori, scopriamo perché ad oggi assistiamo alla crisi del fast fashion.