PERCHÉ SI DICE CHE SAREBBE MEGLIO LIMITARE GLI ACQUISTI SU SHEIN?
- Shein è ormai diventato un colosso del fast fashion online.
- Il brand made in China propone migliaia e migliaia di capi a prezzi stracciati, dalla moda donna alla moda uomo, passando anche per i vestiti per bambini e gli oggetti per la casa.
- Ultimamente sembra che la questione più pressante legata al marchio sia l’etica nascosta dietro una produzione così massiccia di capi, associata a prezzi veramente bassi e concorrenziali: comprare su Shein sì o no, quindi?
- La questione è più ampia, ragazze, e il discorso sarebbe da allargare a tutti i brand che producono e commerciano capi di fast fashion, non solo Shein.
- Visto che però le critiche a Shein non si placano, vediamo insieme perché sarebbe meglio comprare altrove, quando possibile, e quali sono stati i motivi dietro le critiche a Shein.
Credits: Foto di Unsplash | Becca Mchaffie
Chi non ha mai sentito parlare di Shein alzi la mano. Ormai il colosso cinese del fast fashion online è sulla bocca di tutti: da diversi anni è sulla cresta dell’onda per gli acquisti di capi di moda a prezzi molto bassi e concorrenziali, ma ultimamente è stato anche oggetto di numerose critiche che spiegano perché sarebbe meglio non comprare su Shein. In questo post abbiamo provato a raccogliere le motivazioni dietro il consiglio di acquistare altrove e cambiare le proprie scelte di consumo; non si tratta, ovviamente, di un attacco al brand visto che queste critiche potrebbero essere allargate anche ad altri brand di fast fashion. Ma vediamo nel dettaglio che cosa è successo, vi aspettiamo qui sotto!
LE CRITICHE AL MODELLO SHEIN: OMBRE SULLO SFRUTTAMENTO DEI LAVORATORI
Una delle critiche mosse al modello Shein, ragazze, si basa proprio sullo sfruttamento della manodopera, punto oscuro non solo di questo brand ma che -a ondate- riguarda un po’ tutti i marchi di fast fashion. Il caso Shein è esploso recentemente grazie a una video-inchiesta pubblicata dal canale britannico Channel 4. Se volete guardarla interamente la trovate online con questo nome: Untold: Inside The Shein Machine.
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Un giornalista della testata si è introdotto all’interno di due fabbriche che Shein usa per la produzione dei propri capi, e ha documentato condizioni di lavoro preoccupanti. Le due sedi di produzione a cui il brand appalta la creazione dei propri capi di abbigliamento (a Guangzhou, in Cina) sembrano proprio non rispettare etiche condizioni di lavoro: i lavoratori pare che debbano garantire una produzione di circa 500 capi al giorno, la loro prima paga viene -inspiegabilmente- trattenuta e a fine mese guadagnano il corrispettivo di circa 560€.
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Nell’altra fabbrica sembra non andare meglio, visto che i lavoratori pare siano pagati in base a quanto producono per circa 4 centesimi di euro al capo. Cosa accomuna queste due sedi di produzione? Nel documentario emerge che parte dello stipendio venga trattenuto in caso di errori, che le ore di lavoro giornaliere siano pari a 18 (in media) e che sia concesso un solo giorno di riposo al mese. Se fosse vero, queste condizioni di lavoro non rispetterebbero nemmeno le normative cinesi.
Questa inchiesta ha risollevato le polemiche su Shein, ma non è la prima volta che una testata giornalistica punta i propri riflettori sulle condizioni di lavoro nel mondo del fast fashion.
NON È LA PRIMA VOLTA CHE SI ACCENDONO POLEMICHE SU SHEIN E LE CONDIZIONI DI LAVORO NELLE FABBRICHE CHE PRODUCONO PER IL BRAND
Anche Reuters nel 2021 aveva provato a contattare il colosso cinese per un chiarimento sulle condizioni di lavoro nelle sue fabbriche, senza aver ricevuto risposta: nello specifico, la giornalista cercava di accedere a informazioni relative allo stipendio dei dipendenti e alle condizioni all’interno delle sedi di produzione di cui il brand si serve per i propri capi. Lo scandalo era esploso perché nel Regno Unito le compagnie che superano una certa grandezza e guadagnano oltre 36 milioni di sterline l’anno sono tenute a rilasciare dichiarazioni ufficiali in ottemperanza al Modern Slavery Act 2015 (Trasparenza nelle catene di fornitura).
INCHIESTA SULLE SOSTANZE PERICOLOSE: MA È VERO CHE SHEIN USA TESSUTI TOSSICI?
Le polemiche su Shein, poi, non accennano a placarsi: è di sole poche settimane fa un’inchiesta di Greenpeace che, dopo aver fatto analizzare da un laboratorio tedesco 47 capi del brand di fast fashion, ha evidenziato come il 15% di questi contenga livelli eccessivi di sostanze chimiche pericolose, che superano la soglia legalmente consentita dalle leggi europee. Un restante 32% pare invece che contenga livelli comunque “preoccupanti” di tali sostanze.
Credits: @greenpeace Via Instagram | L’inchiesta Greenpeace Germania ha rilevato la presenza di sostanze tossiche su alcuni vestiti Shein
Non parliamo esclusivamente di sostanze tossiche sui capi di Shein che possono fare del male alla nostra salute in modo diretto, bensì anche di possibili gravi danni all’ambiente attorno ai siti produttivi; se poi pensiamo all’impatto ambientale che risulta da tutti i capi di fast fashion che gettiamo (e quindi al loro accumulo in diverse zone del globo, usate come discariche -pensate al caso del Deserto di Atacama, trovate informazioni digitando su Google “deserto di Atacama fast fashion”-) il problema è ancora più grave e pressante.
Credits: @greenpeace Via Instagram | Una delle critiche mosse a Shein è l’uso di plastiche per il confezionamento dei capi che porta a un aumento delle microplastiche diffuse nell’ambiente