Si sente molto parlare di sindrome della capanna, in merito alla paura che molte persone stanno affrontando al pensiero di tornare alla vita di tutti i giorni dopo il lungo periodo di lockdown.
In psicologia, la sindrome della capanna o del prigioniero non viene reputata un disturbo mentale, ma una reazione – più che legittima – a un momento di forte stress come quello che tutti abbiamo vissuto e, ancora oggi, stiamo vivendo a causa dell’emergenza Coronavirus.
Cerchiamo di capire insieme cos’è la sindrome della capanna, perché uscire può fare tanta paura e cosa è possibile fare quando si soffre di questa sindrome in prima persona oppure se a soffrirne è qualcuno che ci è caro.
Credits: Foto di Unsplash | Alexandre Chambon
COS’È LA SINDROME DELLA CAPANNA E PERCHÉ TUTTI NE PARLANO PROPRIO ORA
Finalmente, dopo mesi di isolamento, ci è possibile – seppure con molta gradualità e con dei limiti – tornare alle nostre vite e alle nostre abitudini. Se la maggior parte di noi ne è entusiasta, c’è anche chi vive la fine del lockdown con ansia e preoccupazione, senza alcuna voglia di uscire di casa.
Credits: Foto di Unsplash | Claudia Soraya
Gli esperti parlano di sindrome della capanna o del prigioniero – in inglese cabin fever – ed è una condizione piuttosto diffusa, al contrario di quel che si possa pensare. A esserne più colpiti sono coloro che hanno saputo gestire bene il periodo di isolamento e che, ora, provano un forte senso di smarrimento e inadeguatezza all’idea di scombussolare nuovamente la loro routine.
Credits: Foto di Pexels | Cottonbro
SINDROME DELLA CAPANNA: LA CASA COME UNICO POSTO SICURO
Le nostre case, inizialmente viste come prigioni, si sono trasformate con il tempo in un posto sicuro, che ci ha tenuto al riparo dal Coronavirus e che, in qualche modo, ha anche contribuito a far rallentare i nostri ritmi, regalandoci l’opportunità di ritagliarci più tempo per le cose davvero importanti.
Credits: Foto di Unsplash | Trent Szmolni
Anche chi, inizialmente, ha mal sopportato l’idea della reclusione, può sentirsi a disagio all’idea di ritornare alla vita di un tempo, sia per paura (purtroppo, lo stato di allerta è ancora alto per quanto riguarda la diffusione del Coronavirus) sia per una sorta di affetto provato nei riguardi della nuova routine a cui ormai ci si è abituati.
Credits: Foto di Unsplash | Priscilla Du Preez
I primi studi sulla sindrome della capanna risalgono agli inizi del ‘900, quando i cercatori d’oro negli Stati Uniti erano costretti a passare interi mesi all’interno di una capanna. Dopo l’isolamento, subentrava il rifiuto di tornare alla vita sociale e in comunità, accompagnato da sensazioni di stress e problemi nel gestire ansia e attacchi di panico improvvisi. Questo è quello che sta accadendo a molti di noi oggi, dopo il lockdown.
QUALI SONO I SINTOMI E LE PRIME SPIE D’ALLARME
La sindrome della capanna è molto diffusa, sia tra gli adulti che nei bambini. Ricordiamo, infatti, che anche i più piccoli stanno pagando il prezzo dell’emergenza. Esistono dei sintomi che accomunano tutti coloro che soffrono della sindrome della capanna o del prigioniero.
Credits: Foto di Pexels | Daria Shevtsova
Nel dettaglio, i più comuni sono:
- letargia
- scarsa concentrazione
- mancanza di motivazione e apatia
- tristezza
- paura di uscire
Credits: Foto di Unsplash | Yuris Alhumaydy
Può capitare, infatti, di sentirsi stanchi e intorpiditi, con la strana e immotivata necessità di fare pisolini pomeridiani e difficoltà ad alzarsi presto al mattino. Possono subentrare stati di angoscia e agitazione, che accompagnano specialmente l’idea di uscire. Chi soffre di questa sindrome si sente bene e al sicuro solo tra le mura domestiche, come se non avesse bisogno di nient’altro.