I VESTITI CONTENGONO SPESSO SOSTANZE CHIMICHE E CONSERVANTI
Su ogni capo che acquistiamo è presente un’etichetta che ci comunica i materiali con cui è stato realizzato. Tuttavia, questo a volte non basta a conoscere tutto ciò che è presente in una maglietta o un paio di pantaloni dato che, per la creazione di un vestito, sono coinvolte centinaia di sostanze chimiche!
Certe sono studiate per rendere gli abiti resistenti a tarme ed insetti, altre sono dei veri e propri conservanti e altre ancora, invece, servono a dare ai vestiti l’elemento che li rende unici, come il colore o la stampa. La cosa più preoccupante è il fatto che numerose fabbriche usano sostanze che hanno avuto molte restrizioni e controlli da parte dei governi di molti paesi, proprio per via della loro tossicità.
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Tra le sostanze più quotate c’è la silice, causa di disturbi polmonari
Alcuni governi sono più tolleranti di altri a questo proposito, ma poco importa dato che, in Italia così come ogni parte del mondo, è molto facile trovare brand autoctoni che in realtà fabbricano i loro prodotti in paesi come la Cina, più flessibili nelle normative riguardanti le quantità di queste sostanze chimiche.
Credits: greenpeace.org.uk
Una delle più gettonate è la silice, usata per scolorire i jeans, responsabile, tra l’altro della silicosi, un disturbo polmonare!
INDUSTRIA DELLA MODA VERITÀ E MISURE: LE TAGLIE VANITOSE
Molto probabilmente tutte noi abbiamo potuto constatare che, con certi brand, indossiamo una determinata taglia mentre, con altri, un’altra ancora. Questo fatto non è dettato da improvvise ed improbabili fluttuazioni di peso e altezza, ma da un fenomeno che è chiamato vanity sizing.
Il vanity sizing fa leva sulle taglie considerate più lusinghiere
Questo fenomeno è nato per andare incontro al fatto che, psicologicamente parlando, i clienti hanno la tendenza ad acquistare un capo che presenta una taglia più piccola (e dunque, percepita come maggiormente lusinghiera) più volentieri.
Ciò spiega come mai non solo i capi dei vari brand abbiano misure diverse, ma anche perché differenti vestiti dello stesso marchio presentino taglie discordanti!
Credits: theodisseyonline.com
FAST FASHION E INQUINAMENTO, UN DUO PER ORA INSEPARABILE
Così come negli ultimi decenni ha preso moltissimo piede il concetto di fast food, ovvero di cibo disponibile in pochissimo tempo e a prezzi molto bassi, è nato e si è diffuso anche quello di fast fashion, basato su prezzi competitivi e bassi tempi di realizzazione.
Fast food fashion: l’interpretazione di Moschino! Credits: abcnews.com
Come abbiamo già potuto vedere, il fast fashion è studiato per avere un ricambio notevole, ma questo causa gravi conseguenze dal punto di vista ambientale. Secondo la EPA (Environmental Protection Agency), sono 13, 1 milioni le tonnellate annue di vestiti che vengono buttati ogni anno, e solo il 2% di esse riesce ad essere riutilizzato o riciclato.
Credits: trustedclothes.com
Lo smaltimento di questi abiti causa gravi conseguenze in fatto di inquinamento. Basti sapere, ad esempio che, per smaltire mezzo chilo di vestiti, si producono 3 litri di anidride carbonica. Più economico, dunque, a lungo termine non sempre significa più conveniente, soprattutto per il pianeta!
Credits: businessinsider.com
Ragazze, volete saperne di più sulle verità nascoste relative al mondo della bellezza? Allora vi consigliamo di leggere anche:
1) LE 7 VERITÀ CHE LE CASE COSMETICHE NON VOGLIONO FARCI SAPERE!
2) LE BUGIE DELLE CASE COSMETICHE A CUI POSSIAMO SMETTERE DI CREDERE
3) COME FUNZIONA TRA BLOGGER E CASE COSMETICHE?
4) RELAZIONI PERICOLOSE: RECENSIONI, CASE COSMETICHE ED EVENTI
Non sempre si tratta “solo” di vestiti!
Ragazze, voi eravate a conoscenza di questi lati oscuri della moda? Anche a voi è capitato di avere vestiti di mille taglie diverse, e che cosa ne dite delle condizioni di lavoro che hanno molte giovani modelle? Cercate di fare acquisti consapevoli, ed eravate a conoscenza dei danni all’ambiente che causa la fast fashion? Raccontatecelo nei commenti! Un bacione dal TeamClio!
Post interessantissimo!
Io infatti non capisco come ci si possa vestire “cinese” puro. Poi sento lamentele come irritazioni e c… Sulle taglie me ne sono accorta da un po’ : io sono una 42 europea mentre per le taglie americane sono una xs
Post molto interessante, mi ha fatto riflettere su c’eri aspetti. Ho però una domanda: ma ero convinta che i brand Italiani, che producono in Cina ma vendono da noi, devono comunque sottostare a certi standard su materiali e sostanze per vendere in Italia. Quindi è un falso mito? Diversa è la questione immagino per quello che si trova nei negozi Cinesi, rabbrividisco, lí immagino che la merce sia semplicemente senza controllo. Io comunque cerco di comprare sempreade in Italy, anche se per certe cose (tipo abbigliamento sportivo, biancheria EC…) È quasi impossibile. In qualunque caso NON metto piede in un negozio cinese, chiamatemi snob ma tutta quell’accozzaglia di roba, di chissà quale provenienza, con coloranti di cui si sente l’odore a mezzo metro di distanza, proprio no. Anche se capisco che chi si trova nell’indigenza possa essere attratto dai loro prezzi. Molto triste il discorso Delle modelle, spesso una categoria odiata dalle altre donne, ma anche loro sono sfruttate e sottopagati al pari di quasi tutti i giovani. Mi ha fatto invece molto riflettere il discorso della quantità di rifiuti di origine tessile, effettivamente con il boom dei negozi a prezzi contenuti un po’ tutte ci facciamo prendere dalla mania di comprare in saldo un sacco di roba a poco prezzo, che magari dopo due stagioni è da buttare. Ultimamente sto cercando di impegnarmi a cambiare la filosofia e di comprare meno ma buono, per avere capi (specialmente borse, scarpe e giubbotti,) che furono negli anni. Per quanto riguarda i capi usati, se sono in buono stato li do alla Caritas, altrimenti ne faccio stracci per spolverare, anche cosí però mi accorgo che c’è comunque un certo scarto ovviamente. In generale credo sarebbe una buona, sia per l’ambiente che per i più bisognosi, se tutti regalassimo i vestiti usati anziché buttarlo via
Sulla caduta di valore degli abiti sono stata, purtroppo,come ex lavoratrice di sartoria, una attenta spettatrice.
Da un anno all’altro le case più famose e costose hanno iniziato a produrre in Cina mantenendo gli stessi prezzi, e di alcune fibre naturali, specilamente invernali, non vi è più traccia!
Complimenti per questo altro post di denuncia!
Le leggi spietate e disumane del mercato non hanno mai avuto il minimo interesse né per la vita umana né per l’ecosistema. Un orrore.
Ci sono tanti gruppi anche su facebook di regalo 🙂 sono spesso locali (nella mia città, Terracina, ne hanno creati almeno un paio) e tra membri ci si scambia le cose che non si usano più, vuoi per cambio taglia, vuoi per noia o cambio di stile… Sono molto utili, e sono iscritte anche tante mamme che regalano e si scambiano i vestiti dei bimbi, che, si sa, hanno breve durata perché i bimbi crescono 🙂
Io qualche anno fa in una sola giornata ho comprato una 42 e una 46 😀 ovviamente non ero ingrassata nel giro di tre ore 😀
Post interessantissimo!!!! Molte cose non le sapevo, però avevo notato il ricsmbio velocissimo di vestiti sugli scaffali e la qualità spesso scadente dei tessuti.. e questo l’ho notato anche in questi giorni di vacanza che ho trascorso a New York (dove, al posto dei vestiti, ho comprato trucchi!!!)..’un bacione a tutte voi, a Clio e alla piccola Grace che ormai sta per arrivare!!!!!!!
Siamo noi il mercato. È la domanda che fa l’offerta e non il contrario. Se tutti decidessimo di non comprare compulsivamente, noncuranti dei materiali perché tanto il prezzo è basso, non ci sarebbe tutto questo orrore.
Ciao a tutte/i! Post molto interessante, considerando il fatto che io faccio parte spesso del club delle donne che escono demoralizzate dai negozi dopo aver rinunciato a trovare la propria taglia, col dubbio di doversi vestire in una fabbrica per mongolfiere… quando invece, a ben guardare, sono i modelli degli abiti, dei pantaloni e delle maglie esposte ad essere completamente fuori misura. Questo, ahimè, può sfociare in disturbi come il dismorfismo corporeo ed alterate percezioni della propria immagine in tante persone, risultando poi un’anticamera di problemi ben più seri come l’anoressia.
Strano come a volte la vita ti metta davanti degli argomenti che si ripropongono quasi per caso, perché ho trovato già questo tema, girellando un pò su You Tube. Lo ha affrontato un annetto e mezzo fa il canale di Carotilla (Camilla Mendini) – Una graphic mama a New York, trattando di Fast fashion e di tutte le implicazioni che ha sia sulla nostra società divorata dal consumismo veloce, sia su quella dei Paesi come ad esempio il Bangladesh, l’India o la Cina in cui i capi di questa moda “veloce” da 52 collezioni l’anno vengono prodotti, magari sfruttando manodopera a basso costo costretta a lavorare in condizioni igieniche e di sicurezza molto precarie.
Questa “denuncia” nasce per prima dal documentario “The true cost of fashion” (da cui è tratta la prima immagine che avete inserito in questo post), in cui si cerca di far chiarezza su cosa si nasconda dietro le quinte delle passerelle e della moda che arriva poi nei nostri armadi! Decisamente un argomento ed una visione molto istruttivi!
Perdonate la lunghezza biblica del post! 🙂
Grazie mille!
Grazie!
A voi!
I coloranti degli abiti o dell’intimo sono tra quelle sostanze che vengono testate sulla pelle per verificare tollerabilità etc.. per poter essere impiegate, almeno in Europa. In Cina non so esattamente come funziona.
La silice fa male ai lavoratori che la respirano e se in Cina lavorano come si vede..
Post coraggioso e ben scritto ! Consiglio anche io come @cliomakeup-7753eb3f2d2f5dd5bda141d7761e38e4:disqus di vedere per approfondire l’argomento il documentario “The true cost” che si trova tra l’altro anche in streaming su Netflix.
Ormai purtroppo non incappare in un modo o nell’altro nel made in Asia, che sia Cina, Vietnam o Cambogia é diventato quasi impossibile, ahimé, con conseguenze nefaste su qualità, sicurezza dei capi e sfruttamento degli addetti ai lavori.
Non parliamo poi del discorso delle taglie che mi fa imbestialire da anni. Quando ero ventenne sapevo esattamente quale taglia mi andava di ogni marca e non dovevo quasi provare nulla in camerino. Ora, pur con un peso stabile da anni, comprare azzecando la taglia é diventato un’impresa titanica !!! A me ha fatto veramente passare la voglia di fare shopping e sono stufa marcia di trovare capi costruiti su modelle androgine che sono immettibili dai 25 anni in su. E dalla quantità industriale di merce in saldo che vedo temo di non essere l’unica a ragionare in questo modo.
Molti vestono cinese anche senza saperlo perché pensano che il brand italiano sia fatto in Italia con materie prime italiane.
Io in alcuni negozi non riesco più a comprare nulla per vie delle taglie che hanno “ristretto”. Per esempio una polo acquistata 2 anni fa mi va ancora benissimo, un’altra in vendita, stesso negozio, stesso modello e stessa taglia, non mi entra neanche!
il fatto che ci sia la dicitura “made in italy” non implica che TUTTO il capo sia stato prodotto in italia. bisgnerebbe cercare info sui fornitori e tutto. magari assumono stranieri in italia o comprano l’etichetta che renderebbe più credibile il marchio.
la differenza di aglie nei vari paesi è normale, dipende dalle caratteristiche fisiche degli autoctoni, non è normale avere due taglie diverse per marchi nazionali.
da quando ho letto che un kg di cotone usa tipo 10 litri d’acqua per essere prodotto evito di comprarlo almeno quando devo cucire io. il lino ne usa poca quindi cerco d usare quello. e per gli indumenti ho iniziato da un po’ a comprare vintage o usato e se qualcosa è stretto me lo allargo.
La cosa delle taglie è verissima, mettendo vintage di qualche anno fa si vede bene la differenza… io ho delle belle spalle e con taglie attuali sopra porto una 40, ma prendendo un top anni ’80 o ’90 se è meno di una 42 rimango incastrata 😉
Da qualche anno, dopo la strage incendiaria in Bangladesh e l’uscita di “The true cost”, si parla sempre più spesso di quest’argomento per fortuna, ho trovato molto interessanti anche alcuni servizi giornalistici italiani come quelli di Petrolio sull’aumento di dermatiti e allergie cutanee dovuti a coloranti e stampe tossici made in China e Report sul “made in Italy non made in Italy”. Vi consiglio di dare un’occhiata al canale YouTube di Justine Leconte blogger e stilista di moda francese che con classe, esperienza e un tocco di ironia insegna come riconoscere i capi di qualità (che non sono per forza super costosi) e svela i tipici trucchi del fast fashion. Personalmente vesto da sempre vintage o usato per piacere e necessità, la differenza di qualità e vestibiità tra capi presi di recente e altri che ho da anni è enorme, non riesco a mettere piede nei negozi cinesi (ma anche in alcuni fast fashion molto noti) senza sentirmi male con nausea e giramenti di testa a causa del forte odore plasticoso o provare prurito quando provo qualcosa. Per le taglie penso che sia anche un fattore culturale, i marchi tedeschi e francesi (Promod, Esprit, ecc) di solito sono molto più generosi di quelli italiani e inglesi.Frequentando gruppi bio rimango sempre perplessa come questo argomento non riesca ancora a fare breccia in quel mondo, perchè persone ossessionate da quello che di non naturale c’è in cibo e cosmetici non riescono ad avere la stessa sensiblità nei confronti della moda?
Post interessantissimo e ben scritto! In alcuni paesi “poveri” ad esempio le lenzuola sono di tessuto sintetico…io le ho provate perché mi ci sono trovata, colorati e sintetici, dormirci dentro mi faceva impressione sia per l’odore (che non va via dopo lavaggi) sia per la consistenza davvero poco naturale, eccome se ho sentito la differenza!!! Dovremmo pensare tutti ad acquistare soltanto vestiti di buoni materiali e fattura…io sono la prima a non farlo, ma questo post mi fa rinnovare le mie riflessioni! Grazie Team
Per quanto riguarda le taglie, sono proprio cambiate, negli anni, le tabelle di comparazione.
Quando ero adolescente, a cavallo tra gli ’80 e i ’90, questi erano i nostri riferimenti.
S=42
M=44
L=46
Da diversi anni il sistema è scalato di un posto
S=40
M=42
L=44
XL=46
Fortunatamente anche io vesto molto vintage, mia madre era una sarta e aveva capi di abbigliamento meravigliosi, ancora perfettamente conservati e splendidi da indossare.
La comparazione con le taglie di allora e quelle di adesso, però, è quasi da togliere il fiato.
Ho imparato da lei ad investire un po’ di più per un capo che mi durerà una vita, facilmente accostabile e versatile, piuttosto che per la moda usa e getta, che non resiste ad un lavaggio più di una stagione.
Sul vero costo umano e non solo ecologico della fast fashion dovremmo essere tutti informati perchè è uno degli argomenti scottanti da anni, purtroppo non è solo la fast fashion che viene venduta a poco prezzo nelle grosse catene, ma anche gli abiti da boutique che sono alla portata di pochi, e non dimentichiamoci la tecnologia … i suicidi nella fabbrica della Apple in Cina? Scusate ma quanto costa un i-pad o i-phone? Inoltre come ha già giustamente commentato neolollipop, la quantità di merce in svendita dovrebbe far riflettere …
Per quanto riguarda le taglie il famigerato Daily Mail pubblicò un articolo sulle taglie nei diversi negozi, la giornalista ha comprato una gonna della stessa fattura era una semplice gonna a pieghe in vari negozi e le taglie erano completamente diverse … molto interessante e divertente. La settimana scorsa sono uscita da un negozio con un vestito taglia 40 e uno taglia 46, come è possibile se sono della stessa marca? Quando ho posto la domanda alla commessa l’ho mandata gentilmente ma non tanto velatamente a quel paese, quando ha cercato di dirmi che ovviamente il vestito taglia 46 non era fatto per me ma per una persona alta e con poche curve … le ho detto che di donne 46 con il fisico di un boscaiolo canadese non ne esistono tante e che dovrebbe imparare un po’ di tatto e cortesia visto che vende vestiti e non detersivi al discount.
Ci penso spesso anche io all’impatto ambientale che hanno i vestiti smessi, per non parlare di quelli che vengoni dati alla Caritas che poi rivende a pakistani e indiani che vendono al mercato a 0.50 cent. Un po’ mi mette ansia.
Per quanto riguarda le taglie io ho stilato una mia classifica in base anche a quello che vendo io, ma trovavo tabelle molto diverse su Internet. È facile sballare di una taglia a seconda del modello di vestiti che si prova, ma non dovrebbe essere di più. Spesso specifico più volte a una cliente che un modello di abito è aderente, ma nonostante le stia giusto a pennello preferisce una taglia in più per averlo più comodo. Il peggio è quando chi è sopra una 48 vuole provare una taglia unica, che si chiama unica invece di 42-44, e tu non sai bene come dirle che è meglio di no. O ancora quando non vogliono accettare che magari gli serve la 3xl di quel particolare modello… Ma sono solo un paio di lettere cavoli, non cambia ciò che sei, non più di quando ci si impunta nel volere una taglia più piccola e poi lamentarsi che è piccola. Ah ne potrei scrivere un paio di tomi di tutte quelle chei capitano, tra assurdità e cattiverie gratuite.
più che non possono permettersi di pagarle per me è proprio un “ci guadagno se ti pago una miseria”
Anch’io dono i vestiti, che non uso più ma ancora in buono stato, alla Caritas. Oppure, se so essere di suo gusto, li dò a mia sorella. Non ci vedo nulla di male ad usare abiti riciclati, io stessa da adolescente utilizzavo alcuni vestiti della figlia della collega di mio papà! E come ero contenta quando vedevo arrivare a casa mio papà con una borsata di vestiti! Tra l’altro mi piacevano un sacco!
Per questo anch’io amo cucire. Quasi ogni capo che acquisto, lo compero per modificarlo il piu’ delle volte e cerco di andare sulla qualita’, senno’ non vale la pena fare un’altra spesa, cioe’ il mio tempo !!
Il fatto e’ che la moda e’ riuscita a creare il meccanismo di “necessita’ di essere un passo (o una settimana) sempre piu’ avanti degli altri”. E anche la necessita’ di pagare tutto sempre piu’ economico possibile. Percio’ “qualcuno” da qualche parte deve pagarne le conseguenze…spiace dirlo e constatarlo, ma e’ cosi’. Io per es. non ho mai acquistato i jeans scoloriti o bucati -perche’ sono cresciuta nell’epoca che cio’ e’ uguale a povero o straccione- ma mi piacciono lo stesso; percio’ me li faccio io. Io sono moltissimo per il FATTO A MANO/Did Your SELF con la consapevolezza pero’ che costa il MIO tempo !
Hai perfettamente ragione. Pero’ in tutti noi, quando abbiamo dei bisogni nasce la riflessione “sono costretta, non posso fare diversamente” e ci caliamo dalle nostre buone intenzioni…
D’accordissimo sull’ultima affermazione.
Sono la prima a fare compere non necessarie. Se dovessimo comprare i vestiti solo per il bisogno di coprirsi, nessuno comprerebbe più nulla. Credo che ne abbiamo abbastanza, non c’è un reale bisogno a costringerci. Ma evito di comprare cose che non valgono. Preferisco spendere 60 euro per una blusa dal taglio più classico, di buona fattura e materiali piuttosto che 6 fatte in poliestere che non durano. Ho vestiti e scarpe che metto da anni perché sono in ottime condizioni. Ed è molto più soddisfacente rispetto a comprare e ricomprare capi che si rovinano immediatamente.